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Lo Stabat mater è una delle sequenze liturgiche più rilevanti del cristianesimo occidentale, da mettere accanto all’Akathistos bizantino. I suoi versi severi, in un latino privo di belletti sono stati attribuiti a Jacopone da Todi e per la sua sacralità, come canto pietoso della Madonna addolorata sono stati messi in musica da innumerevoli compositori. Ogni secolo ha avuto il suo stile, ogni autore ha contribuito con la propria personalità.

Lo stabat Mater di Alessandro Scarlatti è teatrale, quasi una tragedia dai costumi sfarzosi, in cui il canto diventa uno dei velluti espressivi. Lo Stabat Mater di Emanuele d’Astorga è più liturgico, più rispondente al testo severo, quasi un’altra composizione.

Ma ci sono anche le trasposizioni di testo sullo stesso sentimento. Cosè Amy Stewart, con la sua voce aggressiva da jazz singer, ha proposto, proprio a Catania, nel 1999, nella solennità della Cattedrale una versione dell’antico canto, su versi di Vincenzo Cerami e con la musica di Nicola Piovani, con il lutto della Madonna moltiplicato i0n quello delle madri i cui figli cadono in guerra; apparentemente il superamento dell’antica sequenza. In effetti la sua interpretazione nello stile moderno. Non ripresa archeologica, ma immagine di un’epoca diversa (forse ancora più luttuosa).

Dati questi precedenti non stupisce che sulla musica di Pergolesi, il genio musicale scomparso ad appena 26 anni, siano stati inseriti i versi scritti da Santella Massimino, la cui vita terrena fu stroncata a venti anni, ma che già aveva espresso grande profondità di giudizio e sensibilità per chi soffre nelle parole affidate alle pagine poetiche. La madre le ha raccolte e sono diventate l’inserto lirico che attualizza la sequenza medievale. Purtroppo quei versi non sono stati inseriti nel libretto di sala che accompagnò il canto. Ne diamo un saggio significativo che valga per lo scopo che li ispirò: fare riflettere sulla fragilità umana e sulla necessità costante della solidarietà.

Qui parliamo della cronaca della cantata sacra la cui direzione fu affidata a Carmen Failla a capo di una formazione di professori di orchestra di grande rilievo riuniti sotto il nome di Novum Floregium Collegii Musicorum (che poi latinamente significa “I filarmonici dell’Orchestra” che ovviamente è quella del Massimo). Le parti corali sono state sostenute con ricchezza di effetti dalla Corale Tovini diretta da Giovanni Raddino a riguardo ci sono stati dei refusi nel libretto di sala: controllare che i nomi degli artisti corrispondano al vero. Le parti solistiche sono state cantate dal soprano Donata D’Annunzio Lombardi e dal contralto Barbara di Castri con la spiritualità che l’occasione richiedeva. All’organo Paolo Cipolla ha interpretato i sussulti mistici della partitura, mentre il coro di voci bianchi Gaudeamus Igitur, diretto con perfetta maestria da Elisa Poidomani ha sottolineato i vertici angelici della Fede.

Una preghiera in musica, un inno di speranza, per il quale le parole di Mariella Lo Giudice hanno creato i palpiti di un pathos autentico, che tocca le anime, che parla allo spirito.

La musica di Pergolesi, per il resto, è come poteva essere la composizione di un ventenne: ricca di spunti vivaci, pur nella solennità dell’occasione, aperta alla visione di un mondo migliore, pur nella consapevolezza di lutti. Serena, in una parola. E così sono state le parole degli inserti poetici. Note melodiche e poesia si sono incontrate nella creazione di due giovani che si affacciavano alla vita con fervore positivo, che sapevano tradurre in generosità di impegno per gli altri il dono della sensibilità che avevano avuta in sorte. Due anime che pur nella stretta dolorosa preferivano la consolazione della bellezza allo sterile pianto. Essi sapevano che, come dicevano gli antichi, Muor giovane chi al cielo è caro.

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Sergio Sciacca